“Quando lo studio diventa una prigione: la lezione che avrei voluto imparare prima”
Sono competitiva per natura, ragion per cui ho vissuto l’università come una gara.
L’ unica cosa che mi interessava era prendere il massimo dei voti ad ogni esame.
Una volta ho addirittura rifiutato un 29, perché volevo a tutti i costi 30 e lode.
Non prendere uno di questi due voti per me significava essere una fallita.
Quindi, il mio percorso universitario non è stato altro che questo: un mix di ansia,pianti e disperazione in ogni sua forma, contornate dalla voglia di mollare tutto un attimo si e l’altro pure.
Solo dopo la laurea ho capito di essere stata vittima inconsapevole di questa società che non ci vede come esseri umani, ma come una specie di robot che devono essere performanti e dare il meglio in ogni occasione.
E si, io volevo essere proprio così: non solo estremamente performante, ma anche la più brava in assoluto.
Oggi penso che se avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo non mi dedicherei così tanto allo studio, ma cercherei anche di ritagliarmi dei momenti da dedicare a me stessa e alle mie passioni.
E se avessi la possibilità di parlare a chi ancora studia, dopo che l’ennesimo ragazzo ha deciso di togliersi la vita proprio in università, direi loro di studiare per vivere, ma di non vivere per studiare come, invece, ho fatto io.
Perché i voti ed il laurearsi in tempo per quanto siano importanti non definiranno mai le competenze, il valore e la professionalità di una persona.
Queste ultime saranno solo il tempo e i fatti a dimostrarle.
Articolo di Anna Adamo
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